Vita di un caso probabile.
Giorno 3. L’ultimo. Ormai entro a far parte dei casi negativi.
A una settimana dall’inizio delle prime linee di febbre mi certificano la fine dell’isolamento sanitario (ufficialmente durato un solo giorno, ma necessariamente iniziato da più tempo).
Intanto grazie di cuore alle persone che si sono offerte di aiutarmi nella prospettiva di una quarantena di medio periodo. Grazie a voi posso confermare di essere una persona privilegiata e fortunata, che ha potuto pensare a un possibile periodo di difficoltà sapendo di poter contare su relazioni importanti, con alle spalle una comunità bella e “positiva” (nel senso non pandemico).
Grazie anche a chi si è preoccupato di come stavo e ha contribuito a non farmi sentire isolato socialmente.
Il primo tampone è “sparito”. Resta solo quello di ieri, negativo. La bassa carica virale dell’altro non rientrerà nei numeri letti dai notiziari. La mia unità contribuirà alle percentuali di quelli che non hanno avuto la Covid-19.
Falso allarme? Non è dato saperlo.
Le persone che ho incrociato nei giorni precedenti ai sintomi sono risultate tutte negative. Questo mi alleggerisce, perché il senso di colpa c’è stato. Lo so che è sbagliato provarlo e se una persona amica mi dicesse che si sente in colpa per una malattia rischierei di metterle le mani addosso (con il distanziamento sarebbe complicato, in effetti).
Però chiamare le compagne e i compagni per avvertire di averle messe a rischio non credo sia piacevole per nessunə.
Qualche perplessità la ho. Non sul fatto di essere negativo. Mi è stato spiegato in modo chiaro che il terzo tampone sarebbe uno spreco di risorse e tempo per il sistema sanitario (grazie, di nuovo).
Però la sensazione (sicuramente sbagliata) è che si cerchi di limitare i numeri delle persone positive e che troppo è lasciato alle scelte individuali, senza adeguate indicazioni (alla fine tutto è andato per il meglio, ma dei giorni di isolamento solo uno era imposto). C’è poi la questione dei tempi, dopo oltre un anno di emergenza sanitaria.
Posso gettare i rifiuti senza sacchi rossi, a cui potrò rinunciare appena mi contatteranno. Posso riprendere il caffè in piazza, all’aperto e distanziato. Posso tornare a comprare direttamente i giornali, senza complicate procedure. Posso tornare ai presidi e alle manifestazioni.
Tutto perché alla domanda di questa mattina dell’AUSL, “ha sintomi?”, ho risposto di no.
Ed è vero. Sono solo un po’ loffio. Ma perché ho cercato di rallentare il meno possibile e quindi ho scansato il riposo che veniva suggerito. Trovo bello che si lasci alle persone l’autocertificazione della propria condizione di salute, però avrei preferito un confronto con il/la medico/a di medicina generale prima di dover rispondere se avevo sintomi.
Non so inoltre quante persone possono permettersi la settimana che ho vissuto io, senza quella comunità che non rende particolarmente difficili neanche i momenti di incertezza. Non so quindi quante persone si possono permettere la stessa prudenza. Il tema è politico.
Infine: se non ci fosse la Covid-19 avrei avuto la stessa premura di evitare contatti con le altre persone? Avrei comunque partecipato alle manifestazioni? Si muore anche di altre malattie e come mi è stato spiegato questa pandemia non ci sta aiutando a cambiare nessuno dei nostri comportamenti (altro che niente sarà più come prima).
In realtà spero di essere una persona che si è sempre sforzata di pensare prima di tutto a chi ha intorno, ma sbaglio spesso (perché poi intorno ci sono tante relazioni, tante persone e anche questa è una forma di egoismo).
Inoltre non mi sono reso conto dell’importanza di prendermi cura di me stesso anche in relazione a chi ho intorno, lo ammetto (e ci lavoro su, giuro!).
Fine di una nota troppo lunga e poco social.
Ancora un grande grazie di cuore a tutte e tutti!