Testo di Francesca Cavarocchi (Istituto Storico della Resistenza in Toscana) da https://www.storiadifirenze.org/?p=3968).
Il 17 luglio 1944 militi repubblichini, giunti a bordo di una camionetta, aprono il fuoco sui civili raccolti in piazza Tasso e uccidono cinque persone: il bambino di 8 anni Ivo Poli, Aldo Arditi, Igino Bercigli, Corrado Frittelli e Umberto Peri.
L’azione ha verosimilmente un obiettivo dimostrativo contro la popolazione del quartiere di San Frediano, ritenuto a ragione particolarmente ostile al regime e luogo di rifugio per gappisti e militanti antifascisti.
La retata provoca vari feriti e si conclude con l’arresto di alcuni sospetti gappisti, che saranno inclusi nel drappello di diciassette uomini fucilati alle Cascine il 23 luglio. Stando alle testimonianze disponibili sono effettuati in quella occasione altri arresti, ma non è chiaro se le persone fermate siano rilasciate o inviate al lavoro coatto in Italia o nel Reich.A condurre l’azione non sono dunque forze tedesche, ma italiane: si tratta di elementi appartenenti alla cosiddetta banda Carità, ovvero al Reparto servizi speciali, fondato dal seniore Mario Carità nell’autunno 1943 e formalmente inquadrato nella Guardia nazionale repubblicana. La banda aveva in realtà assunto un ruolo autonomo, in stretta connessione con i reparti investigativi tedeschi, e si era macchiata di numerosi crimini nella sua attività repressiva contro i gruppi antifascisti e nella caccia agli ebrei.
Dato che Carità ha abbandonato Firenze i primi di luglio alla volta di Padova, è Giuseppe Bernasconi, uno dei suoi più stretti collaboratori, a condurre il rastrellamento di piazza Tasso. Il pluripregiudicato Bernasconi è un esempio di quei militanti della prima ora, posti ai margini durante la fase di normalizzazione del regime, che hanno trovato nuovi spazi di manovra nei mesi della Repubblica Sociale.
Nelle settimane che preparano la liberazione l’intera vita cittadina registra un netto peggioramento, che investe in primo luogo la disponibilità di beni alimentari e l’erogazione dei servizi essenziali.
Mentre le residue autorità della RSI si disarticolano ed i militanti predispongono l’esodo verso il Nord, la condotta delle numerose unità tedesche di passaggio – ma anche delle residue forze repubblichine – è improntata ad una discrezionalità e ad un arbitrio sempre più evidenti. Nell’area fiorentina l’attività repressiva solo in alcuni casi si condensa in vere e proprie stragi, come quella che interessa il padule di Fucecchio il 23 agosto 1944. Cifra distintiva di questo contesto sembra essere soprattutto l’esercizio di una violenza diffusa, puntiforme, che vedrà il suo epilogo nella vicenda dei franchi tiratori.
L’eccidio di piazza Tasso è dunque esemplificiativo dei numerosi episodi di angherie e soppressioni di civili riconducibili a motivazioni differenziate e attribuibili solo in parte ai reparti tedeschi: dalle esecuzioni di antifascisti o sospetti tali, fino a una serie di eccidi mossi dalla volontà di infliggere l’ultima punizione a una popolazione ritenuta ostile.
La banda Carità sarà processata nel 1951 dalla Corte d’Assise di Lucca e nel 1953 dalla Corte d’assise d’appello di Bologna; il collegio dell’accusa sarà diretto da Piero Calamandrei.