“Molto si potrebbe fare, a partire dalla prima seduta del Consiglio comunale”
Massimo Lensi, Associazione Progetto Firenze
Dmitrij Palagi, Sinistra Progetto Comune
I fatti accaduti nel carcere di Sollicciano non dicono niente di nuovo alla città. Acqua in sezione a singhiozzi, insetti vampiri e ascensori rotti rappresentano da anni la normalità conosciuta e rimossa. Si notano più in questi giorni soltanto perché è estate.
La prevenzione dei reati a Firenze è inesistente, e il tema della sicurezza repressiva ha rappresentato anche nella campagna elettorale ormai alle spalle il tema principale del dibattito politico. La città turistica, in preda al più fenomenale consumo di territorio e identità della sua lunga storia, non sa rispondere adeguatamente alle realtà della marginalità urbana. La carcerazione è l’unica risposta: si spazza rudemente la città e i “rifiuti umani” finiscono in una discarica sociale, appunto, com’è il nostro carcere. Sollicciano, infatti, è pieno di marginalità e umanità dimenticata, di detenuti stranieri che, per il ministro Nordio, dovrebbero essere estradati nei loro paesi di origine per fare spazio ad altri nuovi reclusi, meglio se italiani naturalmente.
Che cosa si può fare? Molto, subito e in prospettiva.
Nell’immediato: invitare, ad esempio, le associazioni del volontariato carcerario di Firenze a farsi carico di un surplus straordinario di presenze a Sollicciano durante il periodo estivo; invitare la neo-Sindaca Funaro ad approvare velocemente un piano straordinario di aiuti e solidarietà per le detenute e i detenuti dell’Istituto, che provveda anche a consegnare frigoriferi e ventilatori alla direzione per le sezioni in difficoltà, avviare con Publiacqua un piano d’intervento straordinario per normalizzare il problema della mancanza di acqua in istituto. Piccole cose ma essenziali. Sono temi da sollevare già alla prima seduta del Consiglio comunale, arrivando a votare la figura di Garante delle persone private di libertà prima della sospensione delle attività estiva.
In prospettiva: iniziare a costruire piani di prevenzione sociale per la sicurezza in forma diversa dalla mera repressione disciplinare; avviare una riflessione a partire dal fallimento della pena retributiva con funzione rieducativa per arrivare a sviluppare una diversa articolazione della punizione in grado di essere utile a tutti, al reo, alle vittime e alla società.
È inutile girare attorno al problema senza avere un’idea guida, che oggi non può altro che essere rappresentata da un nuovo concetto di pena e dalla forza incisiva della prevenzione sociale per la sicurezza di una città e dei suoi cittadini. In una città, però, che sappia guardare a se stessa come spazio vitale e non lo subordini alla mercificazione del proprio modello di urbanizzazione. Non tutto è perduto, Firenze è stata la città della solidarietà: continui a esserlo anche in tempi di over-carcerazione per micro-reati.