Articolo pubblicato su il Becco, originale qui.
Gianfranco Ravasi è cardinale di grande cultura, che abitualmente firma articoli sulla Domenica del Sole 24 Ore. Scrivendo della morte e delle domande sulla vita, il 12 aprile, ha citato l’ultimo libro del «grande genetista non credente» Edoardo Boncinelli, evocandone i contenuti ma discostandosene rapidamente, anche come forma di rispetto verso una figura distante dalle religioni.
Con curiosità ho avvicinato quindi Essere vivi e basta. Cronache dal limite, pubblicato nel febbraio 2020, alla vigilia della piena emergenza Covid-19.
Il testo merita di essere letto, soprattutto in questo momento storico. È una preziosa testimonianza diretta di una persona che si fa sempre più prigioniera del proprio corpo, colpita dalla malattia e consapevole di andare incontro alla fine della propria esistenza. C’è una tensione forte, soprattutto nella prima parte, a cui non si può restare indifferenti.
Nelle parole di Boncinelli si ritrova la complessità del nostro essere persone, che necessariamente si riflette anche sulla nostra salute e sul nostro fisico.
La paura semplifica molte percezioni e l’autore ricerca la semplicità nella sua passione per la scrittura di aforismi, di cui dà conto in almeno un paio di passaggi del libro.
Non è detto che questa sia la sua ultima opera. La fine si avvicina, ma altre volte si è cimentato in un ultimo libro, superato dalla generosità con cui si concede alla scrittura (che è testimoniata dall’ampio numero di pubblicazioni, non certo
esclusivamente scientifiche o di divulgazione).
Sono le parole di uomo di scienza con un rapporto profondo e dialettico verso la filosofia, di cui non ama alcuni autori, come Platone ed Hegel, ammettendo di sentirsi affine a Popper.
Leggiamo quindi il libro di un protagonista del panorama culturale italiano che confessa le proprie debolezze e di essere contemporaneamente arrivato a piacersi.
Di particolare interesse per la situazione contingente è l’esperienza positiva relativa all’assistenza sanitaria. Boncinelli ci dice di aver scoperto la bontà nell’essere umano proprio nel momento in cui ha perso parte della sua autosufficienza.
Quando qualcosa cade, se è solo, quell’oggetto smette di far parte del suo mondo, diventa irraggiungibile. L’autore è un soggetto assolutamente a rischio nell’attuale fase. Tra le sue malattie svolgono un ruolo centrale le difficoltà respiratorie (diventate oggetto di particolare attenzione durante la pandemia Covid-19). La sua mente non è esente dallo scorrere del tempo. Fatica a ragionare, riesce con difficoltà a scrivere, gli è diventato
quasi impossibile leggere.
La vecchiaia e la fragilità umana non fanno parte del discorso pubblico contemporaneo, specialmente di quello politico. Le cronache dalle RSA di queste settimane stridono con la serenità di Boncinelli, la cui testimonianza però indica un valore imprescindibile di cui però poco si parla. Per quante risorse economiche si possano investire nel socio-sanitario, per quanta ricerca scientifica possa essere portata avanti, per quanti investimenti pubblici si potranno fare, al centro del lavoro di cura dovrà trovare uno spazio rilevante l’intelligenza. Cosa essa sia di preciso sfugge alle definizioni. Le nostre individualità esistono anche in funzione delle relazioni che hanno. L’interesse e la dedizione non bastano, ci dice l’autore. «Mi pareva, in sintesi, di esse una persona bisognosa d’aiuto in mezzo a persone degne», scrive in un passaggio (a pagina 42, per la precisione).
In questo libro c’è quindi una rara capacità di espressione, un’indicazione parziale di cosa può significare essere umani. Un’umanità instabile, costantemente alla ricerca di un nuovo equilibro, in parte insondabile, ma in questa caso tesa “semplicemente” a realizzarsi in questa vita terrena.
Della morte e della vita non si parla quasi più. Eppure, in questo mondo, siamo chiamati semplicementea viverci, discutendo tra di noi su quale senso abbiano le nostre esistenze. Attraverso le società dovremmo prenderci in carico dei nostri bisogni, permettendoci di contribuire alla soddisfazione di quelli degli altri secondo le nostre possibilità.
Essere vivi e basta è una testimonianza, non pretende di esaurire i suoi ragionamenti e sicuramente è imperfetta rispetto a ogni giudizio astratto o sintetico. Verrebbe da rimproverare l’autore per aver scelto di acquistare i libri su Amazon, anziché proseguire a rivolgersi alle librerie a cui tanto si dimostra affezionato. Viene da sorridere dall’ingenuità con cui ammette il piacere di mettersi a seguire su Twitter le attrici delle serie televisive che lo appassionano.
Durante la lettura però ha prevalso una sensazione difficile da nominare, che afferra la gola con decisione. È la tensione di alcune domande che da sempre ci accompagnano e sempre ci accompagneranno. Di alcune non vogliamo nemmeno sentire il rumore, scegliendo deliberatamente di ignorarle. Altre le inseguiamo, quasi senza senso.
La capacità di trasmettere la sensibilità dell’autore è la qualità di questo libro. Il fatto che racconti di un uomo che raggiunge la fine della sua esistenza con consapevolezza lo rende utile per la discussione che dovrebbe aprirsi, almeno in Italia, su RSA, invecchiamento e servizi di cura.
Di cosa abbiamo necessità? Di una società intelligente, fatta di persone degne, capaci di rispondere alle persone nei loro bisogni. Il cui equilibrio non sarà mai conquistato in modo definitivo ma verso la quale sarebbe davvero il momento di incamminarsi.