Alla base di questa storia c’è un tentativo di stupro da parte di soldati tedeschi che si risolve con un colpo di pistola che fa scappare gli aggressori.
Gli occupanti raccontano di essere state vittima di un agguato.
Alle 22.30 del 5 agosto 1944 le forze naziste arrivano all’Istituto Chimico Farmaceutico Militare e uccidono le persone che lì si erano rifugiate nei sotterranei per sfuggire alle bombe.
I nomi di chi è stato ucciso: Francesco Granili, Michele Lepri, Tullio Tiezzi, Mario Lippi, Ugo Bracciotti, Aldo Bartoli, Attilio Uvali, Francesco Iacomelli, Giorgio Biondo, Vittorio Nardi, Silvano Fiorini, Beppino Mazzola.
È la strage di Castello, che oggi il Comune di Firenze ha voluto ricordare, insieme a quello di Sesto Fiorentino.
Sarebbe bello se le parole di umanità che sono state pronunciato oggi, dalle varie autorità, vivessero nelle pratiche politiche quotidiane.
Così non è.
Giorno dopo giorno, misuriamo il consumarsi di quegli anticorpi antifascisti e antirazzisti che ci sono stati donati dalle partigiane e dai partigiani.
Manlio Cancogni, nel suo ‘il cimitero dei partigiani’ scriveva che i morti possono essere «simbolo di una civiltà nuova nella quale al terrore e alla vanità di oggi desideriamo si sostituiscano dei modi più naturali e veri di sentire».
Quel modo vero di sentire le ingiustizie dovrebbe essere la nostra ragione di militare, di agire.
Per altre informazioni sulla strage e sulla lapide: resistenzatoscana.org/storie/la_strage_di_castello/