Oggi c’è chi lavora, anche dentro Palazzo Vecchio (per fortuna non il personale del museo, dopo le vicende dell’anno scorso). A me piace molto poter passare di qui, salutare e prendere qualche ora per sistemare gli arretrati, nella quiete degli uffici vuoti*.
Nunzio Galantino sulla Domenica del Sole 24 Ore di ieri scrive: «la dimensione collettiva della ribellione converte all’impegno più di quanto non siano in grado di farlo i clamori dei solitari».
Loredana Lipperini su Linus di questo mese invita a cercare una storia, purché «non sia solo la vostra: perché là fuori, c’è un mondo intero da raccontare, se solo troviamo la forza e il desiderio per guardarlo, e per rompere lo specchio».
Il futuro individuale è un futuro incerto, fragile, che cerca consolazione, invece di abbracciare la possibilità di scrivere pagine nuove.
In una striscia Lucy van Pelt contesta a Snoopy il fatto che non ha diritto a essere felice, “con tutti i problemi che ci sono al mondo”.
La felicità di essere parte di un tentativo collettivo di cambiamento del mondo (in meglio) è una felicità difficile da scorgere, ma è anche questo un modo di prendersi cura di sé. È faticosa, perché si basa sulla relazione tra persone, inevitabilmente diverse, se non ci si rifugia in una riserva e non ci si affida a un’illusoria scorciatoia, che nel migliore dei casi porta poco lontano.
Più che una forma di felicità (dipende dal significato che si dà a questa parola), può essere un modo di stare bene e prendersi cura di sé, diverso da quello suggerito dall’attuale stato di cose presenti.
Passate buone giornate, che siano di festa, di lavoro, di fede, di impegno, di condivisione o di solitudine.
(* Per chi ci ha tenuto a sollevare la questione negli anni passati: sto attento a non consumare niente di più di quanto sarebbe comunque consumato a carico del bilancio dell’Ente).