“Lanciato un appello contro l’ipotesi della costruzione di un nuovo istituto penitenziario come soluzione al problema della detenzione al confine tra Firenze e Scandicci”
Dmitrij Palagi, Antonella Bundu – Sinistra Progetto Comune
Dall’Associazione Progetto Firenze è partito un appello firmato da cittadine e cittadini del territorio, per evitare che il carcere venga affrontato come questione edilizia, ignorando le ragioni sociali che hanno portato Sollicciano a essere una vera e propria emergenza.
Si tratta di un testo chiaro, che non ha bisogno di aggiunte. Abbiamo aderito come persone che vivono il territorio e conoscono la distanza enorme che c’è tra città e istituti penitenziari. L’espulsione della struttura dal resto del tessuto urbano corrisponde a un uso della repressione come meccanismo di disciplinamento, con cui si marginalizza e criminalizza tanto la povertà, quanto il dissenso.
Dal sito dell’Associazione è possibile sottoscrivere il contributo al dibattito politico e istituzionale, quindi ci sentiamo di rilanciarlo, confermando l’adesione anche in relazione al nostro ruolo istituzionale: https://www.progettofirenze.it/aderisci-allappello-non-e-il-cemento-che-serve-a-sollicciano/
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Non è il cemento che serve a Sollicciano
Il carcere di Firenze è nato male e vive peggio. Com’è costume di ogni fallimento, s’ipotizza continuamente di costruire un nuovo istituto di detenzione. In verità, c’è anche chi propone di demolirne solo alcuni bracci e costruirne di nuovi, magari per poi alzarne altri in spazi limitrofi alle pericolanti mura. Un progetto in realtà non c’è, però se ne parla come fosse qualcosa di inevitabile. Il fato penitenziario, quando entra in crisi, ricorre invariabilmente a strategie comunicative ambigue. Strategie uguali nel tempo che, invariabilmente, si risolvono in nuovi fallimenti. Macerie che si accumulano a fondamenta di evitabili macerie future.
I tre pilastri dell’emergenza carceraria sono declinati in questo ordine: edilizia penitenziaria, incentivo alle misure alternative, incremento del personale di polizia. Il nostro problema non è però sapere quale sarebbe il sistema penale ideale. Il codice disciplinare appartiene a un ambito di controllo e di stretta relazione tra fuori e dentro un carcere. Esso fa parte di una scienza maldestra all’interno della quale la delimitazione del discorso penale è interiorizzata in esigenza punitiva diffusa e nell’emergenza permanente. Il nostro compito è, piuttosto, quello di mettere in luce le contraddizioni di un sistema che, per esempio, spinge per l’edilizia penitenziaria da un lato e dall’altro per le misure alternative. Perché costruire nuove carceri invece di assumere nuovi educatori? Perché parlare di emergenza criminalità se i crimini sono in diminuzione? L’emergenza è continua. Perché?
Noi non siamo portatori di speranza e cerchiamo di osservare la realtà del nostro sistema di pena per quello che è, nella sua agghiacciante quotidianità. Il carcere è il risultato finale di questo processo, il calcestruzzo per costruire nuovi padiglioni la sua ragion d’essere e la marginalità sociale la sua carne viva.
Il sovraffollamento carcerario è un’emergenza che non avrebbe ragione di esistere se fossero applicate le leggi in vigore nel nostro ordinamento per l’esecuzione esterna di pena. La nostra giustizia, però, è di classe. Lo dicono le statistiche. È secondo la classe cui si appartiene, secondo le proprie possibilità finanziarie, secondo le posizioni sociali che si occupano, che si ottiene giustizia.
Non serve costruire un nuovo carcere a Firenze, e non servono neanche nuovi padiglioni. Occorre solo guardare in faccia la realtà, e lavorare per costruire un rapporto diverso con la stessa città di Firenze. Un rapporto basato su una nuova capacità, politica e amministrativa, di intercettare le tante difficoltà del vivere sociale. È possibile, basta volerlo. La parola “chiave”, infatti, è decarcerazione, che significa superare il carcere e la stessa concezione di criminalità. L’articolo 27 della nostra Costituzione dovrebbe essere applicato nella sua semplice e densa progettualità, dando vita al recupero, alla risocializzazione, alla responsabilizzazione dell’individuo e alla riparazione del danno, sconfiggendo così le false utopie della punizione e della rieducazione come elementi storici dell’esecuzione di pena nel nostro ordinamento.
Occorre, dunque, creare un ponte fatto di idee e di progetti concreti per una continua interazione tra Sollicciano e Firenze, e tra la città e il carcere. Lo Stato e gli enti territoriali potrebbero fare la loro parte potenziando la Magistratura di Sorveglianza, l’Esecuzione Penale Esterna e le strutture di accoglienza per i semiliberi. Così facendo, si potrebbe davvero porre fine al sovraffollamento e risolvere la situazione di permanente sotto organico di tutti i corpi funzionali del carcere: polizia penitenziaria, personale amministrativo e sanitario, rieducatori. È una strada da seguire, che oltretutto aiuterebbe ad alleggerire le sezioni per ripararne anche le mura, i corridoi, le celle e le fondamenta. Un’opera lunga e faticosa, meno, però, della costruzione di un nuovo istituto. E più economica.
Oggi tira una brutta aria a Sollicciano, un’aria che puzza di calcestruzzo. Anche in città, però, si respira una brutta aria. Firenze si è trasformata in una sorta di recinto per il consumo diffuso, dove chi non si adegua viene spinto ai margini. Le trasformazioni corrono veloci.
Noi nutriamo la ragionevole illusione che dalla ristrutturazione del carcere di Sollicciano (e non dalla costruzione di un nuovo carcere) possa partire una stagione di rinnovamento dei diritti individuali e sociali per impedire che la sorveglianza carceraria, grazie a nuove tecnologie politiche, si dilati all’intero corpo della società e per dare senso compiuto all’articolo 27 della Costituzione italiana.
Giovanni Michelucci progettò il Giardino degli Incontri per rendere meno disumano l’ambiente architettonico di quell’istituto. Noi vogliamo costruire un Giardino degli Incontri grande come l’intera città, che modelli una nuova cultura nella direzione dell’inclusione sociale e di misure alternative riparative.
Prime firme:
Massimo Lensi, Dmitrij Palagi, Grazia Galli, Emanuele Baciocchi, Sandra Gesualdi, Antonio Iocca, Antonella Bundu, Donella Verdi, Sergio Staino, Tomaso Montanari, Simona Maggiorelli, Maria Milani, Valentina Adduci, Serena Pillozzi, Maurizio Brotini, Roberto Di Loreto, Laura Grandi, Francesca Rampinelli, Francesco Torrigiani, Maurizio Storai, Fulvia Fanzone, Cristiano Imperiali, Andrea Barducci, Vincenzo Donvito