“L’edilizia carceraria non risolve un problema che attraversa tutta la società, anche fuori dalle celle. Viviamo in società in cui non ci si prende efficacemente cura di marginalità e fragilità”
Dmitrij Palagi, Antonella Bundu – Sinistra Progetto Comune
Massimo Lensi – Associazione Progetto Firenze
Lo studio del Garante nazionale delle persone private della libertà in merito ai suicidi nelle carceri italiane, pone l’accento sul carcere di Sollicciano, in cima alle statistiche per numero di morti e tentativi di togliersi la vita. Ieri, invece, il Ministro della Giustizia ha presentato le linee programmatiche del suo dicastero di fronte alla Commissione Giustizia del Senato. In estrema sintesi: molta, moltissima attenzione al processo penale e al Csm, solita routine sul carcere (spazio alle misure alternative). Ed è proprio quel programma che il ministro è stato chiamato a realizzare dal nuovo Governo: la riforma del processo, non dell’esecuzione di pena. Un garantismo pur sempre carcerocentrico.
Centrali, invece, sono le parole con cui il Garante nazionale evidenzia che il fenomeno suicidario sia difficile da ricondurre alla durata della detenzione o alle condizioni in cui ci si ritrova a vivere (che certo hanno un loro peso, ma non appare come la questione centrale). Per il Garante l’analisi dei casi dei suicidi in carcere conferma la necessità di un discorso pubblico sulla pena. Il tema della salute mentale non rimane isolato all’interno degli istituti penitenziari. Viene da “fuori”, dalle nostre città, entra ed esce da quegli “altrove” in cui si finisce per essere rifiuti, dimenticati dalla collettività, con l’eccezione di associazioni e qualche ente.
Pensiamo sia urgente che il sistema politico e istituzionale promuova momenti di discussione, a partire dallo studio a cura dell’Unità Privazione della libertà in ambito penale, pubblicato in questi giorni.
Se per puro caso del destino la marcia delle riforme contemplasse un rinnovamento complessivo del diritto penale sostanziale e processuale e del diritto penitenziario, e unisse il piano dei diritti dell’imputato/dell’imputata con le ragioni di un nuovo senso della pena, il risultato finale potrebbe anche dare una svolta significativa alla giustizia in Italia. Ma, senza il primo, il secondo non avrebbe senso, e viceversa.
Per queste ragioni, rivolgiamo un invito al Sindaco affinché non eluda il problema di fondo e non stia troppo a traccheggiare sul degrado del principale istituto penale fiorentino, che esiste e va risolto urgentemente. Il nesso tra carcere e città è fondamentale, adottando però linee innovative e coraggiose che superino le stesse misure alternative o i progetti di nuova edilizia carceraria in spazi dismessi come le vecchie caserme militari. La missione è politica, e non soltanto amministrativa, perché è nello spazio politico che oggi le riforme in materia di giustizia e di esecuzione di pena potrebbero trovare una nuova e felice sintesi.