E forse non lo dovrei dire.
Ma è una fase della mia vita in cui c’è di nuovo tanto rabbia dentro con cui dover fare i conti. Anche se da fuori mediamente capita di sentirsi dire che son sempre tranquillo. Ma c’è chi può testimoniarvi che starmi vicino è un accollo, perché da qualche parte alcuni sentimenti devono venire fuori. Cercando di nasconderli. Perché li nascondi?
Boh, alla fine c’è chi sta peggio, è più facile dire di lottare contro la solitudine che dover far i conti con i propri sensi di colpa. Ma dopo tre anni nelle istituzioni le cose per me sono ancora più chiare: a battuta dico che divento più estremista.
Ma non sopporto la retorica della legalità e del decoro. Perché vedo quanta ipocrisia c’è nel prendersela con chi non ha mezzi e quanta pavidità (o peggio complicità) c’è con chi i mezzi mediamente li ha, ma si racconta che non è vero.
C’è una società in cui si pensa che c’è troppo da perdere. In cui si pensa che è meglio provare a risolvere i problemi con la carità e i buoni sentimenti.
Un sistema politico fatto di individualità in concorrenza. In cui non ci si fida e non ci si affida (e in questo io mi sento davvero fortunato e privilegiato, perché nelle nostre realtà, per quanto piccole, mi fido e mi affido, e sento la fiducia di chi ricambia).
Son pensieri sparsi, che però si son condensati velocemente, mentre leggevo la storia di Zerocalcare sull’Essenziale di oggi.E nemmeno sai se sia giusto dirlo. Se non sia ipocrisia ritrovarsi con un paio di occhi umidi perché leggi un fumetto.
Tutto appare complicato, pesante.
E allora forse è meglio dirle le cose, no? Specialmente su delle cavolo di piattaforme private che fanno di ogni condivisione e di ogni “like” un’occasione di profitto.
Che poi più like fai è più ti considerano uno giusto, bravo, capace.
E allora esporsi sul digitale è sbagliato, che diventa solo un modo per “fare like”?
E allora forse è meglio evitare di farlo, usando spazi diversi, più reali, con cui ricostruire comunità sul territorio.
Ma per ora sono poche, divise e frammentate.
E quindi magari proveremo a pensare che più di riuscire a raccogliere voti, c’è da rimettere insieme le nostre classi sociali. Perché singolarmente possiamo solo essere utili alla causa. Che da bimbo ci credevo che si poteva salvare il mondo solo col sacrificio (sì vabbè, lo so che c’entra il cristianesimo con questo immaginario, non solo Hollywood). Poi ho preso atto che non era possibile, o che io non ero buono. Per cui ci serve unità e organizzazione, capacità di costruire comunità in cui prenderci cura di noi. Che è cosa difficile. Perché se te ne rendi conto e non ci riesci, cresce la rabbia. Con cui ci si fa poco.Individualmente ci si appoggia su chi si ha accanto, socialmente ci si appoggia sulla politica, su quella di cui abbiamo bisogno.
Non lo so se era giusto dirlo. E nemmeno quanto riesca a esser chiaro. Tant’è. Come si usa dire, meglio prendere atto di aver sbagliato che rimanere con la paura di fare una cosa.