Militarizzare l’innocenza, una giornata su come si diventa disumani
“Presentazione dell’appuntamento dell’11 aprile 2025 al Teatro L’ Affratellamento, rivolto la mattina alle scuole e nel pomeriggio a tutta la Città”
Dmitrij Palagi – Sinistra Progetto Comune
Ringraziamo l’ufficio stampa del Comune per aver accompagnato e permesso la conferenza stampa di oggi in Palazzo Vecchio. Abbiamo accolto l’invito del Comitato No Comando NATO né a Firenze né Altrove e di Firenze per la Palestina, per la presentazione di un’importante giornata organizzata per venerdì 11 aprile 2025 al Teatro L’Affratellamento. Al centro ci sarà una doppia proiezione del film Innocence, di Guy Davidi, regista israeliano, già candidato all’Oscar nel 2012 e vincitore di un Emmy nel 2013. La mattina sarà riservata alle scuole, con richieste che hanno superato la capienza disponibile, mentre dalle 17:00 potrà partecipare chiunque, con a seguire un dibattito su come si diventa disumani.
Riportiamo integralmente le note delle due realtà presenti oggi in Sala Macconi per presentare l’iniziativa, a cui invitiamo chiunque abbia modo di partecipare.
La conferenza stampa è l’occasione per presentare l’iniziativa pubblica prevista per venerdì 11 aprile al Teatro dell’Affratellamento dove verrà proiettato, il film Innocence di Guy Davidi, in due sessioni, la matinée dedicata alle scuole fiorentine e già al completo da molte settimane.
Regista nato a Jaffa, nomination Oscar 2013, selezionato per la Mostra di Venezia 2022, Innocence è un’opera intensa e necessaria che denuncia la progressiva militarizzazione del sistema educativo israeliano e si rivolge in particolare ai genitori dei giovani che vengono spinti, troppo spesso, a sacrificare la propria vita alla carriera militare. Il film è un appello alla consapevolezza e all’azione per fermare la deriva della disumanizzazione che vediamo ogni giorno in diretta, e ripetutamente, da un anno e mezzo, e anche prima.
Sono previsti incontri e confronti dopo le proiezioni: ore 12.00 Militarizzare l’Innocenza; ore 17.00 Come si diventa disumani.
La questione non riguarda solo Israele. In Italia è in atto da anni una penetrazione silenziosa ma costante delle forze armate nelle scuole pubbliche: personale in divisa sale in cattedra, propone percorsi di studio “gratuiti” subordinati all’arruolamento, a partire dai 16 anni e dopo l’abbandono scolastico. E molta altra propaganda ben mirata ed organizzata.
Chiediamo una scuola libera, critica, democratica, non militarizzata, che stimoli intelligenza emotiva ed empatia, non competitiva e che non generi paura dell’altro, insegnando a non sopraffare chi è più debole.
La conferenza stampa e l’iniziativa vogliono essere un momento di denuncia, riflessione e confronto aperto alla Città.
Questa è la nota del Comitato NO Comando NATO né a Firenze né altrove – Gruppo di Lavoro Scuole non caserme.
«Perché ci opponiamo alla militarizzazione dell’istruzione.
La smobilitazione dell’apparato statunitense dalla NATO – annunciata e sostenuta da Elon Musk, ormai quasi alter ego di un Presidente che sembrerebbe avere bisogno di un amministratore di sostegno – potrebbe far pensare che finalmente il “Fuori la NATO dall’Italia” (e non solo) possa diventare realtà. Da qui, anche la lotta dei cittadini di Firenze contro l’insediamento di un Comando NATO a Rovezzano, affacciato sull’Arno, potrebbe apparire meno urgente, fino a smobilitarsi a sua volta.
Ma non è così.
L’Europa ha immediatamente reagito proponendo nuove forniture di armi, e tutti e 27 i Paesi dell’Unione si sono inchinati a un piano di riarmo comune, concordi nell’indebitarsi per cifre assurde in un momento di gravissima crisi economica e sociale.
Questo è esattamente il momento in cui, se non vogliamo la NATO nelle nostre città, dobbiamo rafforzare la nostra presenza civile e democratica: con più voce, più chiarezza e su più fronti. Proprio ora, quando l’attenzione mediatica sulla mostruosità delle guerre sembra calare e il conflitto si trasferisce dalle trincee alle stanze dei colloqui diplomatici, spesso sterili o addirittura dannosi alla causa della pace.
Quando la TV smette di mostrarci immagini fresche di sangue e distruzione, tutto sembra normalizzarsi. Ma non è così, e lo sappiamo. Perché dietro la guerra fatta di bombe e pallottole, esiste una guerra culturale, meno visibile ma altrettanto inquietante.
A vincere è spesso chi ha più mezzi, più potere militare, più capacità organizzativa. E il supporto dei poteri istituzionali.
Ecco perché parliamo – incredibilmente, ma necessariamente – anche di scuole, istruzione e ricerca universitaria.
I ministeri della Repubblica italiana, con sempre maggiore frequenza, appoggiano e promuovono una cultura della militarizzazione, mascherata da servizio sociale o missione caritatevole.
Nelle scuole entrano sempre più spesso le divise: promuovono l’accesso agli studi per chi ha minori risorse economiche, promettono un futuro fino alla laurea, offrono vitto, alloggio e formazione militare fin dal momento dell’abbandono scolastico precoce. Una vera alternativa strutturata per chi si trova in difficoltà. Ma a che prezzo?
In Italia esistono quattro scuole militari:
- due per l’Esercito (Nunziatella di Napoli, Teulié di Milano),
- una per la Marina (Francesco Morosini di Venezia),
- una per l’Aeronautica (Giulio Douhet di Firenze).
Gli stand promozionali di queste scuole sono presenti negli eventi pubblici organizzati dagli Assessorati per le famiglie e gli studenti in cerca di orientamento. A Firenze, il liceo dell’Aeronautica aveva lo stand più attrattivo di tutti: una lunga fila di ragazzi aspettava il proprio turno per simulare un volo su un caccia da guerra, mentre i genitori filmavano con orgoglio.
Una scena tanto surreale quanto tragica, se si pensa che in quel momento, mentre si giocava alla guerra, la guerra vera stava uccidendo civili inermi.
Le iniziative dei militari nelle scuole sono tantissime e quotidiane. Non possiamo elencarle tutte qui, ma sono documentate sul sito dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e università.
Per contrastare il condizionamento alla militarizzazione – che comincia fin dall’infanzia – il Comitato Cittadino NO Comando NATO né a Firenze né altrove ha deciso di fondare un gruppo di monitoraggio attivo: Scuole NON caserme.
Collaboriamo stabilmente con l’Osservatorio e siamo in contatto con gruppi di studenti e docenti che ci chiedono interventi informativi e formativi. Siamo stati invitati a portare i nostri incontri in diverse scuole fiorentine.
La nostra attività è rivolta anche a tutta la cittadinanza, non solo a chi ha un ruolo diretto nelle scuole. Perché ogni persona ha il dovere di preoccuparsi della deriva militarista che sta prendendo la formazione dei nostri ragazzi. I giovani dovrebbero essere portatori di pace, non bersagli del reclutamento. La scuola dovrebbe coltivare coscienza critica, non addestramento all’obbedienza.
L’educazione alla pace, oggi più che mai necessaria, avrebbe dovuto crescere dopo anni di guerre, genocidi, crisi etniche e politiche. E invece, è accaduto l’opposto.
Questa è la nota di Firenze per la Palestina.
«Deumanizzazione, propaganda e cultura militarista: una riflessione necessaria.
Come è possibile che una popolazione intera sostenga un genocidio? Come è possibile che, in Italia e in Occidente, quasi non si reagisca? Quali sono i meccanismi psicologici e culturali che hanno indebolito l’umanità nelle nostre società – europee, americane, israeliane?
Nonostante i media occidentali ci mostrino manifestazioni contro il governo Netanyahu, spesso omettono di spiegare che quelle proteste riguardano soprattutto il ritorno degli ostaggi e le riforme autoritarie del sistema giudiziario. Quasi mai vengono messe in discussione le operazioni militari su Gaza o l’alto numero di vittime civili palestinesi.
Eppure i dati parlano chiaro: secondo vari sondaggi, circa due terzi del popolo israeliano si dichiara favorevole al blocco degli aiuti umanitari a Gaza. Questo significa accettare consapevolmente la morte per fame, sete e malattie di oltre due milioni di persone, tra cui un milione di bambini. In media, secondo alcune fonti, ne muoiono 50 al giorno da più di un anno.
In questa prospettiva, il palestinese – soprattutto quello di Gaza – appare sempre più come un soggetto deumanizzato, la cui vita ha perso ogni valore.
Deumanizzare l’altro significa deumanizzare se stessi. La perdita di empatia e di rispetto per la vita umana non riguarda solo chi la subisce: riguarda profondamente anche chi la mette in atto. Perdere il senso di solidarietà, abituarsi all’ingiustizia, significa perdere l’umanità.
Guardare le immagini da Gaza – vedere volti, sofferenze, emozioni – e poi ascoltare risposte segnate da indifferenza o disprezzo crea una frattura dolorosa. Ma che abbiamo l’obbligo di affrontare, se ancora un altro mondo è possibile.
L’educazione alla violenza fa parte di un sistema culturale e sociale che inizia ad agire, soprattutto, sui bambini e i ragazzi, e il film (Innocence, Guy Davidi, 2022) che presentiamo, – per quello che ci auguriamo sia un ciclo di iniziative sulla disumanizzazione, ci pone di fronte a questo “obbligo” di agire chiedendosi e chiedendoci: come si fa a normalizzare la guerra, la violenza, se non si agisce direttamente sulle famiglie che “mettono a disposizione” i propri figli a un sistema educativo dove si insegna una forte identità nazionale una società costruita intorno all’esercito – come quella israeliana – finisca per normalizzare la guerra, l’occupazione, la violenza, fin dall’infanzia. L’identità nazionale viene spesso fusa con quella militare, rendendo la sopraffazione un elemento strutturale.
Il cinema occidentale, in particolare, ha giocato un ruolo decisivo nel sostenere la narrativa delle guerre in cui l’Occidente è stato coinvolto – dall’Afghanistan alla Libia, fino alla Palestina. Non sempre in modo esplicito: a volte con l’esaltazione eroica dei “soldati esportatori di democrazia”, più spesso con un lavoro sottile, simbolico, che ha impresso nell’immaginario collettivo l’equivalenza tra arabo, musulmano, terrorista, “cattivo per definizione”.
È per questo che siamo “curiosi” di capire come un israeliano, nato a Jaffa nel 1978, da una famiglia di perseguitati, ha impegnato dieci anni della sua vita – dal 2013 al 2022 – per trovare quello che già sapeva che c’era: il problema dei suicidi di adolescenti e giovani adulti, come conseguenza o durante il primo periodo di addestramento militare nell’IDF.